Famiglia

L’albero dove parla Dio

Come ci parla Dio? Ingenuamente potremmo rispondere che lo fa persino con un albero fiorito. Ma sarebbe una risposta così naïf? Mi pare questo il punto di partenza dell’ultimo...

di Maurizio Regosa

Come ci parla Dio? Ingenuamente potremmo rispondere che lo fa persino con un albero fiorito. Ma sarebbe una risposta così naïf? Mi pare questo il punto di partenza dell?ultimo, denso film del maestro Ermanno Olmi.

Centochiodi per raggrumare una domanda che in fondo è lì da sempre, e da sempre aspetta noi che non vogliamo affrontarla. Perché dietro di essa sappiamo (almeno intuiamo) che c?è una visione del mondo, delle relazioni, dell?accoglienza e della solidarietà. E c?è un?immagine del futuro: è dal non ancora che provengono domande inedite e sorprendenti. Non dai vecchi manoscritti divenuti – provvisoriamente – tavola o legge; non da quel turgido circuito chiuso che è l?accademia; non da un mondo contemporaneo che della modernità ha accolto i lati esteriori ma non il senso profondo.

Sicché la storia del giovane professore che ha passato l?esistenza sui libri e a un certo punto si accorge che infiniti sono i modi con cui Dio può parlarci e si allontana dalla sua vita dopo aver inchiodato i volumi uno per uno, diviene paradigma ricchissimo e un po? doloroso. Ricchissimo perché nella scoperta di sé come persona ci può essere una strada per la crescita. Doloroso perché quei libri, come quelle leggi fintamente scritte sul marmo, erano dopotutto «una soluzione» come ha detto dei Barbari il poeta Kavafis. Offrivano una ?risposta? non del tutto attendibile ma in grado di persuadere e conquistare, rassicurando e facendoci inorgoglire.

La verità è che se si tengono gli occhi aperti – suggerisce Olmi – si possono scoprire realtà in apparenza fuori dal tempo nelle quali però è possibile esercitare la propria dimensione più umana. Mettendosi all?ascolto e interrogandosi. Luoghi appena fuori dalla città.

E qui ritroviamo la contrapposizione di L?albero degli zoccoli fra l?ambiente urbano, freddo e distaccato, e l?universo contadino, capace di accogliere con il calore che non domanda nulla. Contrapposizione cui corrisponde quella fra lingua ?morta? dei codici, quella letteraria usata dal professore (ma ancora capace di senso e di profondità) e il dialetto riservato alle persone che vivono sul Po. Una molteplicità ben assecondata dalla macchina da presa: non a caso dopo le prime sequenze ambientate nella solenne biblioteca (un ambiente che è insieme elogio della simmetria e della ragione) le immagini si aprono, come acquistando una capacità di cogliere la forma che non c?è più o non c?è ancora o che è disarmonica. Si aprono, verrebbe da dire, alla vita.

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